Esco da una intensa commissione legalità e mi dirigo in stazione per tornare a Novara. Devo andare agli stati generali della cultura e del turismo, ma risuonano in me le parole di Pino Masciari, che abbiamo appena ascoltato. Conosco Pino da anni, ho avuto l’onore di accompagnarlo in diverse iniziative pubbliche, eppure, ogni volta le sue parole non mi lasciano tranquillo. Mi rendono inquieto, mi ricordano che non possiamo permetterci di stare comodi nelle nostre vite, mentre esistono ingiustizie come quelle che lui e la sua famiglia, stanno vivendo.
Dopo più di 30 anni dalla scelta di denunciare le maggiori famiglie di ‘ndrangheta, che ha portato a condanne importanti per i vertici dell’organizzazione e anche di persone colluse all’interno delle istituzioni, Pino, nonostante abbia dovuto rinunciare alla sua attività, a vivere nella sua terra e abbia sacrificato il benessere emotivo della sua famiglia ora deve ancora difendersi dallo Stato che lo tratta come una pratica burocratica fastidiosa. Uno Stato che manda un atto formale in cui comunica l’avvio del procedimento di revoca della scorta, senza spiegarne i motivi e che rifiuta l’accesso agli atti del diretto interessato.
Ma l’amara verità riemersa oggi ci racconta che il caso di Pino non è isolato. Semplicemente lo Stato non si prende cura dei suoi testimoni di giustizia.
In tutto il paese ce ne sono appena 80: persone oneste che decidono di non girarsi dall’altra parte e di denunciare, di affidare la loro vita allo Stato. Eppure solo nel 2017 è arrivata una legge che se ne occupa, ma ancora mancano i regolamenti attuativi, ma soprattutto, come ci ha ricordato Davide Mattiello non sono cambiate le prassi operative.
Ma così le istituzioni non sono credibili? Con che faccia chiediamo ai ragazzi di credere nello Stato se poi chi lo fa viene abbandonato?
“Non sono una pratica da evadere. Siamo esseri umani” ha detto a un certo punto, Pino. Per poi aggiungere “Se mi avessero sparato in testa mi avrebbero dato onore. Quello che oggi lo Stato mi toglie”.
E questo non è accettabile, non è degno di uno Stato civile e democratico.
Troveremo il modo di non lasciare soli Pino e la sua famiglia e di tenere alta l’attenzione sul suo caso e sui testimoni di giustizia.
Non so se troverò il modo di superare l’inquietudine…
Prima di prendere il treno entro in libreria. Acquisto un libro e alla cassa prendo un paio di segnalibri un po’ distrattamente. Poi li guardo meglio e mi accorgo che sono dedicati al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa in occasione die 40 anni della sua morte. Riportano una delle sue frasi più celebri: “certe cose si fanno non per coraggio, si fanno per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli”.
Mi dico che forse Pino Masciari continua a trovare la forza di fare tutto ciò che fa, di non arrendersi, per qualcosa di molto simile allo spirito che animava queste parole del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. E per questo, ancora un volta, gli dico “Grazie, Pino”.