Moussa vittima a Ventimiglia, sconosciuto a Torino. I CPR sono non luoghi disumanizzanti, vanno chiusi

“Un luogo come questo non è in grado di contenere la sofferenza, ma la fa esplodere, a maggior ragione per chi viene da una storia di vulnerabilità. La detenzione amministrativa è una profonda ingiustizia e chi la subisce lo avverte, pensate a cosa significa per chi è stato anche vittima di una violenza” – dichiarano il Capogruppo di Liberi Uguali Verdi, Marco Grimaldi, e il consigliere del Partito Democratico e Vicepresidente della Commissione Sanità Domenico Rossi, al termine di un sopralluogo effettuato questa mattina al Centro di Permanenza per il Rimpatrio di corso Brunelleschi. 

A quanto risulta, da gennaio a oggi sono passate dal centro 1.070 persone di più di 50 diverse nazionalità, di cui un quarto provenienti da precedenti esperienze in carcere. La capienza è diminuita da 160 a 112 posti, di cui a oggi ne sono occupati 105. Il Decreto Salvini del 2018 ha ridotto drasticamente i servizi e il rapporto fra i detenuti e gli operatori: 16 ore settimanali di assistenza psicologica per 100 persone, altrettante di assistenza legale, 5 ore al giorno di presenza medica (integrata da un protocollo della struttura con l’ordine dei medici), 36 ore settimanali di mediazione culturale, 24 di direzione; gli operatori diurni sono 4, solo due quelli notturni. 

“Noi pensiamo che queste strutture vadano chiuse, ma finché resteranno aperte lo Stato deve disporre le risorse per garantire la tutela dei diritti fondamentali e la dignità delle persone” – proseguono i consiglieri – “e non si può accettare che esistano luoghi così separati dal contesto esterno, da cui le persone escono e si trovano in uno stato di totale abbandono anche se vivono una condizione di fragilità”. 

Nelle due ore e mezza di sopralluogo i consiglieri hanno ascoltato gli operatori, alcuni funzionari della Prefettura e le storie di alcuni detenuti. “Abbiamo sentito la voce di chi, con un regolare contratto, si trova qui perché gli è scaduto il permesso di soggiorno, di chi ci è finito perché ha attraversato il confine dalla Francia per salutare la fidanzata, di chi vi si trova dopo aver scontato una lunga pena in carcere senza essere stato identificato, di chi vive in Italia da anni e ha figli nati qui che nemmeno parlano la lingua del paese di provenienza, di chi appena compiuti 18 anni è uscito dalla comunità per finire al CPR” – continuano i consiglieri. – “Sulla vicenda di Moussa abbiamo appreso qualcosa che, se confermato, sarebbe molto grave: al momento del suo arrivo al CPR e probabilmente fino alla fine, chi aveva in custodia il ragazzo non è stato messo a conoscenza nè dalla Questura di Imperia nè dall’ASL dell’aggressione che aveva subito e ne aveva determinato il ricovero. Com’è possibile che tra istituzioni si perda un’informazione così importante e la vittima di una violenza a Ventimiglia diventi uno sconosciuto quando mette piede nel CPR di Torino?” 

“Abbiamo anche appreso che negli ospedaletti, la struttura di isolamento dove si trovava Moussa, continuano a non esserci dispositivi di videosorveglianza” – aggiunge Grimaldi, che già due anni fa aveva denunciato la condizione degli ospedaletti dopo la morte di Hossain Faisal. “Dopo la mia denuncia di allora sono stati installati dei pulsanti di allarme, peccato che, purtroppo, chi vuole togliersi la vita non schiaccerà quel bottone”. 

“Per poter ottenere il permesso per questo sopralluogo ci è voluta una settimana” – concludono i consiglieri – “una settimana di fughe di notizie in cui una maggiore trasparenza avrebbe forse aiutato a capire prima gli eventi. Le istituzioni devono avere libertà di accesso immediata in questi luoghi”.

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