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#NoiNonStiamoAlGioco: Stop alla propaganda della destra sul gioco d’azzardo patologico

E’ inaccettabile l’atteggiamento della maggioranza verso la legge regionale Norme per la prevenzione e il contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico’. Una norma che funziona come confermano tutti gli indicatori raccolti nei report diffusi dall’entrata in vigore nel 2016. Ciononostante il centrodestra insiste nel tentativo di modificare la norma senza alcuna mediazione e con una posizione completamente appiattita sulle richieste delle lobby dell’azzardo.
Il fenomeno, però, è complesso e merita di essere trattato senza semplificazioni. Con questo documento si vogliono offrire elementi utili all’approfondimento (scarica il dossier il PDF qui).

IL CONTESTO 

La legge regionale va inserita in un contesto specifico che si è definito nel corso di tanti anni. Il dibattito sul Gioco D’Azzardo Patologico non nasce in questi giorni, ed è troppo comodo metterne in evidenza solo alcuni aspetti a scapito di altri. Vanno considerati e collegati gli aspetti economici, quelli normativi e quelli legati alla salute.
Da un punto di vista economico occorre avere molto chiaro che il gioco legale è cresciuto ininterrottamente, senza risentire di nessuna delle crisi economiche degli ultimi decenni. La raccolta totale annua (la somma del denaro giocato dagli italiani) è passata da 24 miliardi nel 2004 a 110 miliardi nel 2019. Quasi quintuplicata in 15 anni. E’ difficile identificare un altro settore cresciuto con questi numeri negli ultimi anni. Di questi soldi, circa la metà, è utilizzato nel  “gioco fisico” e passa dalle famigerate “macchinette” (New Slot e VLT).

Oggi gli italiani giocano una cifra totale pari all’investimento che lo Stato fa per il Sistema Sanitario Nazionale e superiore a quanto spende nell’Istruzione.
Chiaramente questa crescita non è casuale e non è legata a un’esplosione del desiderio di gioco da parte dei cittadini. Essa è figlia di una strategia globale del settore del gioco e della decisione dello Stato di trasformare il gioco in un settore visto solamente come una fonte di guadagno per le casse erariali. La nozione di “gioco lecito” viene inserita nel nostro ordinamento nel 2003. Da un punto di vista economico, però, come spesso accade, la crescita delle entrate erariali è stata inferiore alla crescita del fenomeno. Siamo passati, infatti, da 7,3 miliardi del 2004 a 11,4 miliardi del 2019.

Dal punto di vista culturale e normativo si è passati per diverse fasi: fino agli inizi degli anni ‘90 il gioco era considerato un tema legato al “controllo sociale della sicurezza” e oggetto di severe prescrizioni. Successivamente lo Stato ha cominciato a mutare atteggiamento e il gioco d’azzardo ha cominciato a essere considerato come una leva fiscale, per poi, dal 2003, essere considerato solo come tale. Queste scelte e la crescita del settore hanno portato l’Italia a essere uno dei Paesi con il più alto numero di macchinette per abitanti al mondo.
Secondo quanto riportato nel volume Setting Limits. Gambling, Science and Public Policy, pubblicato da Oxford University Press nel 2019 (Tabella 3.1, p. 31), l’Italia, nel 2016, si posizionava al terzo posto nel mondo con 132 abitanti per apparecchio, dopo Giappone e Australia, ma molto prima di altri Paesi europei e di Canada, Stati Uniti e Regno Unito.

Che cosa ha provocato tutto questo da un punto di vista socio-sanitario?
L’esplosione e la crescita di nuove dipendenze legate all’azzardo, tanto da portare il Ministero della Salute a inserire nei LEA (Livelli essenziali di assistenza) il fenomeno del GAP (gioco d’azzardo patologico). Di fatto viene offerta assistenza per una patologia “creata” socialmente da un eccesso di offerta e dalle scelte dello stesso Stato.
Un fenomeno che non ha solo risvolti sanitari seri, ma anche sociali, perché a pagare il prezzo più alto di questa pandemia sono state le fasce più deboli in termini di sovraindebitamento, multi-dipendenze, rottura dei legami familiari per non parlare anche dell’aumento di possibilità per le mafie di riciclare denaro.
Su entrambe queste dimensioni – dramma sociale e infiltrazione delle mafie nel settore – si sono moltiplicati dossier, allarmi, appelli e sono nate reti di organizzazioni in tutta Italia per chiedere un’inversione di rotta e una regolamentazione del settore. Anche per sostenere i Sindaci che negli anni si sono ritrovati da un lato a dover gestire gli effetti nefasti socio-sanitari e dall’altro a fronteggiare da soli le cause milionarie che le aziende mettevano in campo ogni qualvolta il Comune decideva di provare a regolamentare gli orari delle slot.

 E’ all’interno di questo contesto che le Regioni, sulla base delle competenze in ambito socio-sanitario, si sono viste costrette a intervenire al fine di prevenire e contrastare un fenomeno che cadeva e cade sulle spalle della popolazione più fragile. Non per vietare (anche perché non potrebbero), ma per spostare, arginare, regolamentare.
Il Piemonte, nel 2016, è fra le ultime regioni che legifera sulla materia. La legge regionale 9/2016 è stata approvata all’unanimità dal Consiglio Regionale del Piemonte, dopo un lavoro durato mesi che ha visto confrontarsi le forze politiche, gli uffici della sanità e del commercio e i diversi stakeholder del settore.

GLI EFFETTI POSITIVI DELLA LEGGE

E’ in questo contesto che vanno inseriti la legge regionale e gli effetti positivi che essa ha prodotto.  Non lo dicono i consiglieri di minoranza, ma i numeri  forniti dalla stessa Regione Piemonte attraverso i propri tecnici che lo scorso 28 gennaio hanno illustrato in Commissione Sanità una dettagliata relazione sugli sviluppi del fenomeno dal 2016 ad oggi (si può leggere il report completo qui).

Un’analisi puntuale che non lascia molti margini di interpretazione e che riassumiamo brevemente. Secondo la relazione degli uffici dell’Assessorato e di IRES (qui le slide) i volumi del gioco fisico sono in costante diminuzione dall’entrata in vigore della norma e la differenza tra andamento nazionale e regionale  registra un -15% a favore del Piemonte solo nell’ultimo anno. Anche le perdite sono diminuite di molto. A livello nazionale sono scese di 0,9%, mentre a livello regionale del 16,5%: se il Piemonte avesse tenuto l’andamento nazionale i cittadini avrebbero perso circa 500 milioni di euro in più.

Non si evidenzia nemmeno un effetto sostituzione del gioco on line perché, seppur in salita, anche in questo caso, tra il 2016 e il 2019 la curva piemontese cresce meno di quella nazionale (+72% nazionale contro +70% regionale). Uno degli assunti su cui si basa la legge, insomma, è dimostrato: riducendo l’offerta di gioco si riduce la domanda.  

Dalla relazione emerge anche come tra il 2016 e il 2019 i pazienti in carico ai servizi sanitari piemontesi per dipendenza dal gioco sono diminuiti del 20,6% e come nei Comuni dove sono state applicate ordinanze più restrittive i volumi di gioco si sono ridotti in proporzione più rilevante rispetto ai Comuni che hanno adottato misure più permissive, nel caso delle slot i primi hanno registrato un calo di 135 euro pro capite, i secondi di 34 euro (vedi slide CNR qui).

Questi risultati sono stati conseguiti grazie ad una norma applicata solo a metà. Il piano di comunicazione e prevenzione previsto dalla legge, infatti, non è ancora partito: attende solo il via libera della Giunta nonostante siano presenti le risorse e i progetti. Il distanziometro e i limiti di orario sono importanti per limitare la pervasività dell’offerta di gioco, ma occorre anche un lavoro culturale ed educativo per vincere la sfida contro il GAP.  Quali dati avremmo avuto oggi se insieme agli articoli dei divieti avessimo messo in campo una seria campagna culturale? Con tutta probabilità ancora migliori di quelli attuali. 

E’ il caso di dire che la legge funziona ‘nonostante tutto’ e ancora una volta la conferma arriva dalle cifre: le perdite di un giocatore piemontese dal 2016 sono diminuite del 16% rispetto quelle del giocatore medio in Italia (-0,9%), con una costante riduzione passando da 1,2 miliardi a poco più di un miliardo nel 2019. A fronte di un’emergenza ludopatia diffusa in tutto il Paese, il Piemonte è in controtendenza ma la Giunta e la maggioranza non retrocede di un passo e insiste in un percorso di revisione della norma che vorrebbe riportare le lancette al 2016

Una posizione, quella della maggioranza, difesa ricorrendo alle più disparate argomentazioni nel corso degli anni, anche quelle discordanti rispetto agli stessi dati rilevati dai tecnici della Regione. Argomentazioni che spesso sono diventate vere e proprie “bugie” di una propaganda sostenuta con forza dal comparto del gioco lecito. Le istituzioni, però, dovrebbero svolgere un ruolo di mediazione dei diversi interessi in gioco nell’ottica del bene comune e dell’interesse generale e non sostenere un interesse particolare. 

IL FACT CHECKING SULLA PROPAGANDA DELLE LOBBY DELL’AZZARDO

Ogni volta che qualche esponente della minoranza interviene o pubblica qualcosa sui sul tema del Gioco d’Azzardo Patologico arrivano decine di commenti, tutti uguali, che ripetono quasi sempre le stesse cose le stesse parole chiave, e che citano i medesimi articoli chiaramente tutti a sostegno delle tesi di chi vuole bloccare l’applicazione della legge regionale e modificarla per tornare al far west precedente, dove l’unico mantra che contava era “gioca, gioca, gioca” senza alcuna considerazione del dramma socio-economico generato dall’offerta pervasiva di gioco degli ultimi decenni.
Si tratta di “bugie” o di affermazioni inesatte utili solo a sostenere le tesi dei detrattori della legge.
Ma vediamole una ad una…

“La legge regionale è proibizionista e obbliga a chiudere”

La legge regionale 9/2016 non proibisce il gioco lecito prima di tutto perché non potrebbe: il gioco, infatti, è di competenza dello Stato. Che cosa fa la legge? Sposta, allontana dai luoghi “sensibili”, dai luoghi della vita. Dice basta macchinette in ogni bar e tabaccheria, soprattutto se vicino alle scuole, agli ospedali… Chi vuole giocare può farlo e va in un luogo dedicato che, però, deve essere a 500 metri da questi luoghi. Nessuna proibizione

La prova regina, anche in questo caso, è nei numeri. Tutti gli studi che ci sono stati presentati dalle associazioni delle imprese del gioco lecito hanno sempre sostenuto che la legge avrebbe avuto un effetto espulsivo. Anche su bar e tabaccherie hanno sostenuto le stesse tesi. Come stanno le cose dopo 5 anni dall’entrata in vigore dalla legge? Il gioco fisico in Piemonte è passato da 5.127 milioni di euro a 4.555, una diminuzione di circa il 10% a fronte di una situazione invariata a livello nazionale. La verità, come si evince, è un’altra: siamo di fronte a un settore molto florido anche nella nostra regione, anche se lievemente ridimensionato.

Va ricordato che la legge prevedeva  18 mesi di tempo per adeguarsi sulle distanze a bar e tabaccherie, 3 anni di tempo alle sale slot che avevano aperto prima del 2014 e 5 anni di tempo alle sale che avevano aperto dopo il primo gennaio 2014. 

Su bar e tabaccherie la logica fu concedere meno tempo perché il loro core business è un altro e quindi, chiusi i “finti bar” che vivevano solo grazie alla macchinetta tutti gli altri non avrebbero dovuto avere grossi problemi.  Per le sale slot, invece, considerando che il gioco è l’attività principale, il tempo si allungò a 3 e 5 anni. Quante sale si sono spostate in questi anni? Pochissime. La maggior parte ha solo preteso che fosse la legge a cambiare. Il tempo concesso per evitare un cambio repentino ed evitare di mettere in difficoltà gli imprenditori è stato usato non per cercare una nuova destinazione, ma per costruire le condizioni per un cambiamento della legge. E non non vale l’obiezione: “ma se poi aprono un bancomat lì vicino? Mi devo rispostare? Si, ma dopo 8 anni! (articolo 13, comma 2 quater)”.
Abbiamo visto imprese delocalizzare e spostarsi in giro per il mondo e qui siamo di fronte a imprenditori che non sono in grado di trovare uno spazio tenendo conto della distanza di 500 metri dai luoghi sensibili? La chiusura è proprio colpa della legge regionale o della rigidità di quel settore che non ha nemmeno provato ad adeguarsi e ha semplicemente preteso che la norma fosse modificata? Le leggi cambiano, qualche volta a tutela dei più fragili, e l’impresa deve sapere adeguarsi, dopo anni, in questo caso, di crescita ininterrotta di guadagni.

Aggiungiamo un passaggio importante. La legge è stata approvata all’unanimità in consiglio dopo mesi di lavoro in commissione e diversi incontri del gruppo di lavoro, ascoltando tutti i soggetti interessanti senza che nessuno abbia detto una sola parola contraria. Nessuno! Solo a pochi mesi dall’entrata in vigore della prima scadenza (quella dei 18 mesi per bar e tabaccherie) siamo stati contattati dalle associazioni di categoria che ci chiedevano di eliminare il vincolo o di spostarlo in avanti. Da quel momento abbiamo assistito a un continuo tentativo di bloccare la legge nonostante questi anni abbiano dimostrato che non c’era nessun effetto espulsivo. Se prendiamo come riferimento il criterio del numero di abitanti per apparecchio (guarda il grafico), scopriamo che dopo 5 anni di applicazione il Piemonte fa un po’ meglio dell’Italia, ma ha sempre un apparecchio ogni 205 abitanti. Ci portiamo al livello della Spagna, ma sempre meno che in Germania, Canada, Stati Uniti, ecc… Con l’entrata in vigore della legge il Piemonte si stacca dalla media nazionale, senza cancellare il settore, che, anzi, resta florido.  

Quindi non è vero che la legge proibisce e che obbliga a chiudere. Il settore del gioco lecito non è stato cancellato. Al massimo obbliga a spostarsi per allontanare il gioco dai luoghi della vita quotidiana dopo anni di eccesso di offerta che ha generato una domanda artificiale. Se le sale slot ora devono chiudere non è a causa della legge regionale, ma perché non sono state in grado di trovare o non hanno nemmeno cercato un posto alternativo in cui spostarsi pur avendo a disposizione 3 o 5 anni.

“Hanno già perso e perderanno il posto di lavoro migliaia di persone”

E’ quello che ci sentiamo dire da anni ed è certamente un tema che va affrontato con la massima serietà e non con slogan e semplificazioni “acchiappa like”. Proprio l’attenzione al lavoro e agli investimenti ci fece inserire nella legge del 2016 un tempo di 5 anni durante il quale le sale slot avrebbero dovuto adeguarsi. Anni in cui le aziende avrebbero dovuto immaginare nuovi piani di localizzazione e la regione farsi carico di promuovere analisi puntuali del mercato del lavoro e percorsi di formazione e accompagnamento per eventuali riconversioni professionali. 

Quando stava per entrare in vigore la prima parte della norma transitoria della legge, quella relativa a bar e tabaccherie, i consiglieri regionali furono sommersi di messaggi, mail, richieste di incontri: avrebbero chiuso tutti, le attività non sarebbero state in piedi e comunque tutti avrebbero dovuto licenziare qualcuno. Mesi dopo stessi articoli, mail, manifestazioni per dire che migliaia di persone avrebbero perso il lavoro. All’inizio prospettavano il licenziamento di 5.000 addetti. Poi scesi a 3.500. Ora, qualcuno, dice 1.700.

Chi non sarebbe sensibile di fronte a questi numeri? Peccato che da nessuna parte ci sia riscontro ufficiale di tutto questo. Nelle numerose audizioni e informative fatte in commissione e in Consiglio Regionale non è mai stato presentato un solo dato ufficiale che validasse questa narrazione. Al contrario i dati presentati raccontano una situazione meno drammatica di quella denunciata, a partire, ancora una volta, dall’ultimo studio di IRES Piemonte, organismo di ricerca indipendente della Regione Piemonte, che certifica i movimenti occupazionali nei settori interessati dalla legge n. 9/2016 tra il 2016 e il 2019 sono quelli in tabella (Fonte Rapporto IRES  Piemonte Gennaio 2021 “Le politiche di prevenzione e contrasto al gioco d’azzardo patologico in Piemonte”). Per le lotterie, scommesse e sale da gioco: -12 nel 2016, -38 nel 2017, +1 nel 2018 e – 3 nel 2019. Per le tabaccherie il saldo è sempre positivo: +155 in 4 anni.

Le associazioni di categoria rilanciano affermando che occorre allargare e andare oltre il codice specifico ATECO e presentano una serie di scenari basati su stime. Se accettiamo la stima fatta dalla CGIA di Mestre (studio commissionato da ASTRO Piemonte, associazione di categoria delle imprese del gioco) abbiamo quattro tipologie di attività per un totale di 2.550 addetti a fine 2019.

Secondo  lo stesso studio nel 2016 si stimavano 4.850 addetti con una perdita di 2.300 posti di lavoro di cui 1.700 a causa del distanziometro. Ma qui abbiamo il primo problema, che inficia l’analisi e mette in forte dubbio i numeri presentati. Se noi sappiamo, dai dati ufficiali, che tra il 2016 e il 2019 il settore diretto dei giochi ha perso 52 lavoratori, mentre le tabaccherie hanno addirittura guadagnato 155 posti di lavoro, dove sarebbero stati persi i 1.700 denunciati? Dobbiamo escludere il settore “assimilato” (tabacchi/ricevitorie) e quello “tipico/diretto” (sale gioco), che ne ha persi 52. Si sono persi 1650 posti di lavoro tra indotto e gestori? Inverosimile, visti i numeri del 2019.
La verità è che lo stesso studio parla di “una perdita di fatturato che ha fatto sì che siano venute meno risorse economiche in grado di sostenere 1.700 occupati”. Ma “le risorse economiche in grado di” sono una cosa diversa dagli “occupati”.

Proviamo a metterlo in relazione ad un altro dato: il numero di slot. Che cosa è successo in questi anni? Si confronti la situazione del Piemonte con quella del resto d’Italia. Per le New slot, in Piemonte/VDA, siamo passati da 35.867 apparecchi nel 2016 a 12.274 nel 2019. Nello stesso periodo, in Italia siamo passati da 492.348 apparecchia 263.298, come si evince dalla tabella (Fonte Libro Blu delle Dogane).
Tra il 2016 e il 2017 la diminuzione è stata pressoché identica: -25,58% il nazionale e -28,34% in Piemonte. La legge, infatti, è stata approvata nel 2016 ma ha portato i suoi primi effetti soltanto 18 mesi dopo.Tra il 2017 e il 2018 la forbice si allarga, perché mentre a livello nazionale la diminuzione è di -28,13% in Piemonte sale a -47,67%. Nel 2019 a livello nazionale il numero si attesta su quello dell’anno precedente, mentre in Piemonte ci sarà ancora un diminuzione. In 3 anni assistiamo a un calo pari al -46,52% a livello nazionale contro una diminuzione pari al -65,78% piemontese. Se in Piemonte avessimo avuto la stessa dinamica del livello nazionale nel 2019 avremmo avuto 6.908 apparecchi in più.
Per le VLT, invece, mentre a livello nazionale abbiamo assistito a un calo pari a -2,13% in Piemonte a un aumento del 4,05%. Se anche qui la dinamica fosse stata uguale avremmo avuto 277 VLT in meno. Sottraendole alla differenza delle New Slot in Piemonte abbiamo 6.629 apparecchi in meno rispetto alle condizioni che avremmo avuto se non ci fosse stata la specifica legge regionale Piemonte.

Se fossero veri i numeri che denunciano le associazioni datoriali significherebbe che servono 1.700 lavoratori per gestire 6.600 slot. Anche questo, in assenza di dati ufficiali, sembra una forzatura enorme e una stima non accettabile.
I numeri che vengono presentati non trovano riscontro e, in ogni caso, non sono legati alla sola legge regionale, ma al combinato disposto tra questa e la legge nazionale 208/2015 attuata dal DM 25/07/2017 che ha imposto un limite al numero di AWP autorizzati alla data del 30/04/2018. 

Questo per quanto riguarda il passato. Per il futuro, invece, sarebbe bastato che le sale gioco si fossero adeguate nei tempi previsti.
Che cosa hanno fatto le aziende per provare ad adeguarsi alla legge dal 2016?
Che cosa ha fatto questa maggioranza da quando è alla guida della Regione Piemonte per accompagnare questo percorso?
Non abbiamo dati sugli esiti della prima scadenza dedicata alle sale gioco. Quelle con autorizzazione precedente al 1 gennaio 2014, infatti, avrebbero dovuto adeguarsi entro il 20 maggio 2019. Hanno chiuso tutte? Non ci risulta. La sensazione è che la maggior parte delle aziende abbia semplicemente aspettato che qualcuno cambiasse la legge. La Giunta, invece, in due anni, pur avendo a disposizione tempi e mezzi, non ha prodotto un solo studio su questo argomento specifico.

Facile (e furbo) oggi scaricare tutto sui lavoratori, sulla legge e generare la solita guerra tra poveri: lavoratori da un lato e ludopatici dall’altra. Noi non cadiamo in questa trappola e continuiamo a lavorare per una società dove ci sia lavoro dignitoso per tutti senza che a pagare le conseguenze di un fenomeno fuori controllo siano i più fragili.

“La legge è retroattiva. Bisogna abolire la retroattività”

Per confutare questa bugia occorre addentrarsi in qualche passaggio “tecnico” . Per retroattività della norma giuridica si intende la sua esplicazione di effetti all’indietro nel tempo nei confronti di rapporti e vicende verificatisi anteriormente alla sua emanazione. Ma non è questo il caso della legge regionale 9/2016 del Piemonte. Non lo dice la minoranza in Consiglio Regionale, ma il Tar del Piemonte nella sentenza (2018) sul ricorso che un operatore fece contro il Comune di Murisengo (AL). Oltre a confermare la piena legittimità della legge il Tribunale Amministrativo interviene in maniera specifica sul tema della retroattività:

“8.1 Le parti ricorrenti lamentano innanzitutto l’asserita retroattività delle disposizioni regionali, che non avrebbero fatto esplicitamente salve le attività già in essere, incidendo negativamente sulle prerogative imprenditoriali e sull’affidamento ingenerato negli operatori del settore.

La tesi sostenuta dalle ricorrenti parte da un presupposto non condivisibile: non risponde infatti a verità che la normativa regionale sia retroattiva. La legge regionale dispone pro futuro e prevede un regime transitorio con scansione temporale differenziata per i gestori di pubblici esercizi (cioè per soggetti che, in linea di principio e come già osservato, dovrebbero trarre il proprio sostentamento da attività del tutto diverse rispetto all’accessoria gestione di una macchina AWP) e per i gestori di sale giochi.

8.2 La legge regionale non è poi certo direttamente volta a disciplinare i rapporti concessori tra le parti e/o tra le parti e lo Stato (né potrebbe esserlo), ma è unicamente funzionale ad un dichiarato intento di tutela della salute, oltre che di organizzazione delle attività commerciali sul territorio, aspetti che rientrano nella materia della tutela della salute e nelle ordinarie prerogative di pianificazione urbanistica e quindi di governo del territorio, per le quali sussiste una competenza normativa regionale. 

(Puoi leggere l’intera sentenza qui).

Quindi la legge non è retroattiva perché dispone pro futuroQuello che viene chiesto dai gestori, quindi, non sarebbe l’abolizione della retroattività (che non esiste), ma una specie di sanatoria rispetto alla situazione del 2016. E’ una richiesta legittima che altre regioni hanno deciso di accogliere, ma non ha nulla a che fare con la retroattività. Un percorso non praticabile per un motivo semplice: i limiti imposti dalle Regioni sono arrivati tardi, dopo anni di scelte sbagliate dello Stato, a fronte di un’offerta diventata eccessivamente pervasiva. Applicare quanto previsto dalla legge solo alle nuove aperture post legem significherebbe, di fatto, accettare di avere una macchinetta in ogni luogo, bar o tabaccheria. Sarebbe, insomma, come non avere la legge.

“La legge regionale piemontese, bloccando il gioco legale, favorisce quello illegale”

Un tema come quello della legalità deve rappresentare sempre e comunque una priorità, non solo quando potrebbe portare vantaggi economici e corporativi. Per questo taluni atteggiamenti riscontrati in questi anni appaiono strumentali.
Nel caso specifico, come ogni forma di propaganda, anche quella delle lobby del gioco legale, si alimenta grazie ad imprecisioni, alcune falsità insieme a qualche verità.

Partiamo da queste ultime. “Il proibizionismo non funziona e genera un mercato illegale”. Vero, lo condivido. Sono un convinto anti-proibizionista. Per cui se qualcuno domani dicesse “dobbiamo vietare il gioco” io sarei il primo a oppormi.
E’ questo il caso della legge piemontese sul GAP? No. Come abbiamo detto e scritto più volte, la legge regionale 9/2016 non vieta nulla. Prima perché non potrebbe (è competenza dello Stato), secondo perché non ha quell’obiettivo. L’obiettivo è quello di regolare un fenomeno a fronte di decenni di espansione incontrollata, che non ha visto rallentamenti nemmeno nei momenti di crisi più gravi come quella del 2008. La Regione fa un intervento di “prevenzione logistica” (così espressamente qualificata nella sentenza Corte cost. n. 108/2017) o, per tradurre questa espressione, cerca di allontanare il gioco dai luoghi della vita. Non proibisce, allontana.

Da subito le associazioni dei gestori hanno provato a convincere prima la minoranza in Consiglio Regionale e poi l’opinione pubblica che con l’applicazione della legge regionale il gioco sarebbe stato espulso de facto dal territorio e che applicando quanto previsto dalla norma si sarebbe chiuso il 97% delle attività… oggi parlano del 90. Ma questo dato non era vero 3 anni fa e non lo è nemmeno oggi. La prova, ancora una volta, è nei numeri. Il gioco fisico in Piemonte è diminuito in cinque anni del 10% e non del 97. Le slot sono diminuite del 65% a fronte di una diminuzione nazionale comunque del 46%. 

Inoltre, sempre il TAR del Piemonte usa parole molto chiare, anche su questo tema. Nella citata sentenza a favore del Comune di Murisengo, premettendo che la libera iniziativa economica risulta tutelata dall’art. 41 della Costituzione nel limite in cui non si esplichi in contrasto con “l’utilità sociale” o “in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, precisa: 

“Occorre preliminarmente domandarsi se sia corretto, in relazione agli effetti di una legge regionale, prospettare un effetto espulsivo riferito a singoli comuni; e il Collegio non può esimersi dall’evidenziare l’irrazionalità di un’impostazione del problema secondo cui una legge regionale sarebbe o meno sospettabile di incostituzionalità in ragione del diverso comune nel quale se ne valuta l’applicazione. Pare al Collegio che, al più, l’effetto espulsivo, per essere rilevante al fine della prospettazione di una questione di legittimità costituzionale, dovrebbe essere evidenziato in riferimento al complessivo territorio regionale e non potrebbe neppure partire dal presupposto di dover “garantire” la presenza di AWP in ogni singolo comune, tanto più in una regione che conta 1197 comuni, molti dei quali cosiddetti “polvere” o caratterizzati da ampie conurbazioni tra il centro principale e le cittadine limitrofe…”

e prosegue

“… si deve rilevare che l’entrata in vigore della L.R. n. 9/2016 e la sua applicazione impongono alle amministrazioni locali di adeguare i piani regolatori e la strumentazione urbanistica alle istanze poste dalla normativa sopravvenuta, recependo le finalità dettate dalle disposizioni regionali in modo da consentire comunque una organizzazione dell’attività degli apparecchi AWP. In sostanza l’entrata in vigore di una nuova disposizione di legge che incide sull’allocazione di un determinato esercizio/servizio impone alle amministrazioni locali di tenere conto, nella propria pianificazione, dei divieti di legge e comunque dei nuovi valori sui quali la pianificazione dovrà in qualche modo modellarsi, sì da garantire l’obiettivo della legge stessa, che nel caso in esame è, in estrema sintesi, allontanare dalle zone centrali e più accessibili gli apparecchi AWP, contestualmente però individuando aree accessibili per l’esercizio delle attività di gioco lecito mediante tali apparecchi”

Quindi il carattere espulsivo è infondato da un punto di vista quantitativo e giuridico.

Ma torniamo all’accusa di proibizionismo e proviamo ad aiutarci con un esempio. Prendiamo il caso delle droghe leggere: immaginiamo che lo Stato decida di legalizzarle e che si comincino a vendere in negozi dedicati. Immaginiamo poi, che dopo alcuni anni, il fenomeno cresca e si autorizzino distributori di “spinelli” in ogni bar, tabaccheria e sale dedicate in ogni luogo della città. Immaginiamo che dopo questa espansione le ASL segnalino un aumento di dipendenze da sostanze stupefacenti e che a quel punto le Regioni dicessero: togliamo i distributori automatici dai bar e i negozi vicino alle scuole. Saremmo di fronte a proibizionismo? No, ma solo a un intervento regolativo di un fenomeno legale. 

Chi parla di proibizionismo legato alla legge regionale sul GAP dice una bugia e fa partire la storia da oggi, come se non ci fossero i decenni precedenti. E’ comodo per una parte, ma è falso.

Vediamo ora l’accusa secondo cui la legge regionale del Piemonte, limitando il gioco legale, favorirebbe il gioco illegale. Qui le teorie e le citazioni della propaganda si fanno serie anche perché riprendono anche frasi di persone autorevoli come il Procuratore Nazionale Antimafia, di solito, però, estrapolate dal contesto. Oppure si citano dati sempre rielaborati da fonti vicine al mondo del gioco. Ma procediamo con ordine. E’ tutto un susseguirsi di link, citazioni, titoli che hanno l’obiettivo di rafforzare questa tesi.
Entriamo nel merito andando a studiare la relazione che la DIA (Direzione Investigativa Antimafia) ogni anno presenta al Parlamento attraverso il Ministero dell’Interno. Troviamo un quadro (uno dei più autorevoli e affidabili insieme alla relazione della Procura Nazionale Antimafia) sulle attività delle mafie nel nostro Paese.

Nella seconda relazione relativa al 2019 (scritta nel 2020) troviamo un capitolo dedicato al Covid e un Focus specifico sul tema “Mafia & Giochi” (capitolo 13). Mi sono approcciato allo studio dei due capitoli con una certa apprensione pensando “chissà che cosa troverò sul Piemonte. Verrà fuori che per colpa nostra è successo un disastro rispetto al resto del paese”. E invece…. Scorrendo le centinaia di pagine (sono 888 quelle dell’intera relazione) si trova di tutto sul gioco e sugli interessi che le mafie (tutte) hanno in questo settore. Ma le cose non sono così semplici come piacerebbe a chi cita queste cose senza studiarle fino in fondo.

Che cosa emerge? Proviamo a sintetizzare:
Le mafie hanno interesse sia nel gioco legale sia in quello illegale. Il gioco legale è un mezzo per controllare il territorio e per riciclare denaro. Il gioco illegale negli ultimi anni si è spostato soprattutto online e serve a riciclare denaro appoggiando i server in paesi off-shore.
In tutte le regioni d’Italia, anche quelle con le leggi regionali meno restrittive, o addirittura prive di leggi, esistono diverse inchieste giudiziarie che dimostrano l’interesse per gioco legale e illegale. Non emerge alcuna differenza tra il Piemonte e il resto d’Italia. Anzi, tantissime regioni, pur senza leggi simili alla nostra, sono molto più interessate da inchieste che provano il coinvolgimento delle mafie nel gioco legale.
Sul Piemonte, in particolare, c’è molto poco. Quel poco non tira in ballo mai la legge regionale e documenta che, anche nella nostra regione, il gioco legale non è un argine alle attività mafiose che cercano di occupare tutti gli spazi.

Molto chiaro, ad esempio, il passaggio sull’operazione “Carminius”. Nel marzo del 2019 i carabinieri danno esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 17 persone inserite “nelle famiglie ARONE- DEFINA-SERRATORE, collegate alla cosca vibonese BONAVOTA, responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso finalizzato alla produzione e al traffico internazionale di stupefacenti…” L’attività era concentrata soprattutto nel comune di Carmagnola e secondo quanto emerso dalle indagini uno degli indagati «era deputato a reinvestire grosse quantità di denaro dell’associazione nel settore dei dispositivi VLT, implementandone in misura esponenziale, “la cassa”» (p. 845). Più avanti si può addirittura leggere che «attentati compiuti fra il 2016 e il 2018 in danno del vicesindaco di Carmagnola e di un assessore, ai quali vennero incendiate le automobili, verosimilmente per il loro impegno volto a limitare l’utilizzo delle slot machine, fra i business più redditizi in mano all’organizzazione criminale» (pp. 845-846).
Si cita poi l’operazione “Cerbero” dove gli indagati sono accusati, tra le altre cose, di reimpiegare i proventi del traffico di stupefacenti “anche nel noleggio di slot machine  e nel gioco d’azzardo. Per eludere i controlli le aziende erano intestate a diversi prestanome”.
Quindi nessun riferimento o attività documentata su aumento di gioco illegale a causa della regolamentazione del gioco legale, ma, al contrario, evidenze giudiziarie di un interesse delle mafie anche nel settore del gioco lecito.

Non c’è  alcuna correlazione tra le leggi regionali in vigore sul GAP e l’azione delle mafie sul settore del gioco lecito e illegale. Le strategie delle organizzazioni criminali si adattano ai contesti e ne sfruttano ogni situazione. A fronte di queste evidenze io no mi sognerei mai di dire che tutto il gioco legale va fermato perché terreno fertile per le mafie, ma non è accettabile la strumentalizzazione di alcune testate e della corporazione delle lobby che utilizza singole frasi, estrapolate, per costruire ragionamenti fallaci e assolutamente infondati su temi che richiederebbero maggiore serietà.

CONCLUSIONI

Siamo di fronte a un settore economico, quello del gioco, che è cresciuto a dismisura negli ultimi anni, anche per le scelte sbagliate dello Stato. Un fenomeno che oltre a generare ricchezza ha generato costi sociali e sanitari altissimi pagati da migliaia di famiglie italiane. L’eccesso di offerta ha generato e gonfiato una domanda che prima era molto più contenuta e le nuove dimensioni del fenomeno hanno fatto esplodere problemi sanitari e sociali, pagati soprattutto dai più poveri. Tutto questo avrebbe avuto bisogno di un intervento nazionale, che è arrivato parziale e tardivo. Le Regioni hanno provato ad arginare gli effetti negativi socio-sanitari con iniziative autonome. In Piemonte le aziende hanno avuto tutto il tempo per adeguarsi, ma hanno deciso semplicemente di non farlo. Questa condizione (e non la legge regionale) ha creato una situazione dove rischiano di entrare in conflitto diritti fondamentali come quelli del lavoro, dell’impresa e della saluteE’ per questi motivi che serviva in passato, e ancora di più serve oggi, un delicato lavoro di equilibrio e mediazione. Non è un caso che la legge regionale fu approvata dopo mesi di lavoro, di confronto e all’unanimità di tutte le forze politiche e che aveva previsto al suo interno una norma transitoria che permetteva al settore di adeguarsi. 

La destra ha scelto, al contrario, di appiattirsi sulle richieste di un settore forte economicamente senza mediare alcunché e vuole cancellare tutto con un colpo di spugna. Non è un caso che in questi due anni non sia stato applicato il Piano regionale di comunicazione e prevenzione previsto dalla norma in vigore nonostante fossero presenti progettualità e risorse. Non solo, da un’iniziale proposta di modifica della legge attuale la maggioranza è passata a una proposta di legge che cancella quella esistente e ripristina una situazione che non tiene conto di nessuno dei dati positivi degli ultimi anni . 

Chi vuole cambiare la norma prova a raccontare che è dalla parte dei lavoratori, mentre noi non lo saremmo… Come ci piacerebbe che la destra lo fosse! Ma la verità è che loro sono sempre dalla parte del profitto. Basta ricordare quali sono le ricette che hanno avuto nella storia e hanno ancora oggi per il mondo del lavoro. Nel caso specifico del settore del gioco piemontese i lavoratori sono solo strumentalizzati ai fini della propaganda, mentre si ignorano le pesanti ricadute che l’abolizione della legge avrà in termini di salute pubblica. Ma non dobbiamo cadere nella trappola di mettere in contrapposizione chi è a favore o contro i lavoratori come vorrebbe strumentalmente far passare la Lega. E nemmeno di creare una guerra tra poveri dove mettiamo i lavoratori contro i ludopatici. 

Si tratta, invece, di collaborare alla creazione di una società dove i diritti non siano in contrapposizione tra di loro, ma armonizzati. Ed è a questo che servono le Istituzioni: abbiamo il compito di fare in modo che si possa lavorare in maniera dignitosa senza che nessuno paghi, in termini di salute, l’eccessiva espansione di un settore economico. Spetta alla Repubblica, nelle sue diverse articolazioni, regolare quei fenomeni che, diversamente, genererebbero costi sociali e sanitari elevati. E’ quello che abbiamo cercato di fare con la legge regionale 9/2016 ed è il motivo per cui la difenderemo. 

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