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Genova: tra ponti crollati e politiche da ricostruire nell’era dei social

Del crollo del ponte di Genova ho saputo all’estero, appena sceso dall’aereo su cui stavo viaggiando il 14 mattina.
La prima reazione è stata di incredulità: non è possibile, non è giustamente annoverato tra i rischi possibili il crollo di un ponte di quel tipo, in Italia nel 2018. Come tutti il pensiero è andato alle innumerevoli volte in cui l’ho attraversato, ed è quel pensiero che ci ha fatto sentire immediatamente solidali con le vittime, semplicemente perché lì avrebbe potuto esserci ognuno di noi.

Avrei preferito, con tanti Italiani, che la tragedia fosse affrontata con più silenzio e meno propaganda, così come ha fatto ancora una volta tutto il mondo della solidarietà e della protezione civile, ma forse dobbiamo rassegnarci all’idea che nella “società dello spettacolo” questo non sia più possibile. Nel passato, momenti come questo erano accompagnati dal cessare delle ostilità politiche al fine di far prevalere la vicinanza dello Stato, al di là delle diversità politiche. Al contrario la tragedia di Genova sembra dirci, ad eccezione del Presidente della Repubblica, che non esistono più momenti “immuni” dalla ricerca di consenso, di “like”. La dinamica social ha invaso la vita reale e la modella. D’altronde basti pensare che i ministri (non i capi politici) annunciano le loro volontà con dirette facebook e non con comunicazioni istituzionali né tantomeno con atti formali. Le priorità e le modalità sono dettate dall’online in una realtà che è un indistinto online/offline.
Insieme a quella social Genova ci ha dimostrato come sia radicata anche quella risentimento/capro espiatorio che da anni il sociologo Sergio Manghi studia e racconta. Che cosa ne faccio della rabbia, dello sgomento e della paura delle persone? Semplice: cerco un capro espiatorio, il più facile e immediato possibile su cui scaricare tutto. Si tratta di una dinamica che dà una risposta immediata (ed effimera), che non mette in conto di affrontare la complessità del reale e che identifica un “luogo” in cui scaricare tutto, senza assumersi la responsabilità di nulla. Lega e Movimento 5 Stelle hanno dimostrato in questi anni di essere gli interpreti migliori delle due dinamiche, ma in questo caso, non hanno dovuto fare alcuno sforzo. Conoscete qualcuno che negli anni non ha imprecato contro Autostrade? Per i lavori infiniti e fatti nei momenti sbagliati dell’anno, per la condizione delle strade e per i rincari ingiustificati e continui… Lungi da me difendere Autostrade per l’Italia. Non è certo questo il punto. Come tutti gli altri concessionari, negli anni ha accumulato ricavi tali da potersi permettere avvocati migliori di me. Credo anche che sia corretto che un governo valuti l’ipotesi di una revoca della concessione di fronte a una tragedia come quella avvenuta.
Quello che non ci sta, invece, è che nel giro di pochi minuti le massime cariche dello Stato si precipitino a dire, senza alcuna attenzione al peso delle parole che “al di là della giustizia penale”, “al di là dei contratti e di eventuali penali”, “al di là dell’accertamento delle cause del crollo”, esiste un responsabile: Autostrade per l’Italia. Le istituzioni hanno i loro strumenti per essere rigorose e per andare in profondità. Lo ha detto bene Davide Mattiello in una sua dichiarazione su quanto accaduto (bit.ly/2nQ073z). Ma questo “precipitarsi imprudente” da parte delle più alte cariche dello Stato non risponde all’esigenza di giustizia e di efficienza che i cittadini avvertono, ma alla dinamica risentimento/capro espiatorio. Basta confrontare le dichiarazioni del capo del Governo e dei suoi vice con il comunicato ufficiale della Presidenza del Consiglio per rendersi conto della differenza di parole, toni e tempi… Ma l’importante era fare un annuncio immediato in linea con le aspettative “misurate”. In più presentandosi ancora una volta come il nuovo “assoluto” che nulla ha a che vedere con il sistema responsabile di tutto il male possibile, che ha nel suo vertice chiaramente il PD, che ha “anche preso dei soldi da Autostrade”. Per poi scoprire, nelle ore successive che:
1. è la Lega ad aver preso dei soldi da Autostrade per L’Italia
2. Conte è stato legale di Aiscat, la società dei concessionari di autostrada
3. il PD non ha mai preso denaro da Autostrade per l’Italia
4. il M5S ha votato la legge che portava da 20 a 40 la percentuale dei lavori che il concessionario può attribuire senza gara
5. Salvini, con la lega, nel 2008 votò a favore di un provvedimento molto vantaggioso per Autostrade per l’Italia.
Per non dimenticare che Salvini è nella lega con compiti istituzionali dagli inizi degli anni ‘90, che Giulia Buongiorno è stata l’avvocato di Giulio Andreotti nel processo in cui si arrivò alla prescrizione per i reati di mafia dell’imputato e che Savona è un uomo che ha attraversato prima e seconda repubblica con incarichi di prestigio, tra i quali vale la pena ricordare quello di ministro per l’industria con il governo Ciampi (93-94), presidente di Impregilo e Responsabile per la strategia di Lisbona con il governo Berlusconi… Un nuovo, insomma, molto ben ancorato al passato, che però, non viene raccontato e quindi non esiste.
Il guaio della dinamica risentimento/capro espiatorio è che funziona da un punto di vista comunicativo, ma sul medio e lungo periodo alimenta i problemi, per il semplice fatto che non li affronta.

E’ evidente come in questo periodo chi vuole capire, ragionare, approfondire risulti “sotto”. I pensieri e le parole risuonano vuoti. Un po’ perché sembriamo di meno, un po’ perché certamente siamo disorganizzati.
Certo il risentimento si nutre delle angosce e dei sentimenti negativi dei tempi di crisi. Quando il futuro è incerto o spaventoso aumenta la tendenza a ripiegarsi.
Per invertire la rotta servirà riaprire il futuro, rimettere avanti alle persone la possibilità di un domani migliore per se e per i propri figli. Questo è il compito primario della politica che deve utilizzare questo lungo periodo di crisi per ridisegnare nuovi mondi possibili che non possono essere lo scimmiottamento di quelli passati, a partire dalla considerazione che non si tratta di una crisi passeggera, ma della chiusura di un particolare tipo di capitalismo.
Dal punto di vista socio-economico la differenza, su questo aspetto, la farà la condizione del ceto-medio. Come il suo impoverimento (non solo economico) ha portato alla situazione attuale connotata dalla paura verso l’altro che è qui per sottrarci quel poco che ci resta, così un intervento che rilanci la condizione salariale, sociale e culturale di chi sta tra l’estremamente ricco e l’estremamente povero ci consentirà di tenere in piedi l’assetto delle nostre società.
La politica alternativa a ciò che sta dominando in questo momento ha almeno due livelli di intervento: il primo è quello di breve e medio periodo legato agli appuntamenti elettorali e/o congressuale, durante i quali occorre fare il meglio possibile con quello che si ha/si è senza arrendersi e senza buttare la spugna; il secondo è quello di lungo periodo che deve inevitabilmente porsi il tema della ricostruzione di quel tessuto relazionale e connettivo con i cittadini e con i diversi livelli di società e che ha a che fare di più con la pedagogia sociale, come ho già detto in altre occasioni. Occorre ricreare luoghi e contesti di confronto e dialogo autentico tra le persone, affinché le persone si riconoscano reciprocamente e tornino a fidarsi gli uni degli altri accomunati da un progetto comune. Per lo stato in cui siamo, per questo secondo livello, si parla di decenni. Ma questo non deve essere un freno, anzi, una leva su cui costruire nuove alleanze tra le generazioni.

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