Autonomia differenziata: il mio intervento in aula

Gentile Presidente,

oggi discutiamo di un tema fondamentale per i piemontesi e tutti gli italiani. Come gruppo PD abbiamo presentato una richiesta di indizione di referendum popolare per deliberare, ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione, l’abrogazione della legge 86/2024 recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata…”.

Lo facciamo dopo che i consigli regionali di Campania, Emilia Romagna, Toscana, Sardegna e Puglia hanno già approvato tale richiesta e contestualmente a quella di centinaia di migliaia di cittadine e cittadini che, in tutta Italia, stanno raccogliendo le firme per chiedere la stessa cosa.

Prendiamo atto, purtroppo, che il presidente Cirio non è presente in aula. Ha sempre qualcosa di più importante da fare che confrontarsi con il Consiglio Regionale. Ma anche questo, come dirò dopo, ha a che vedere con il tema che discutiamo oggi. Perché vogliamo che questa legge, di recente approvazione, venga abrogata? Per una serie di ragioni.

La prima è una ragione che definirei sostanziale. Questa legge stravolge il tema dell’autonomia, così come concepito con la riforma del titolo V, sottraendolo allo spirito della Costituzione. Nell’impostazione della Lega l’autonomia non è facoltà di consentire puntuali e circoscritte funzioni particolari, ma strumento per attribuire ad alcune regioni competenze generali su materie strategiche, che finirebbero per scardinare la necessaria unitarietà delle politiche pubbliche del Paese. Con l’obiettivo, nemmeno tanto nascosto, di trattenere nei territori economicamente più forti, la maggior parte delle risorse finanziarie, senza preoccuparsi in nessun modo di garantire il corretto funzionamento dello Stato nelle aree più svantaggiate. In poche parole stiamo parlando di una legge che promuove la crescita di diseguaglianze e rompe il filo di solidarietà tra territori. Chi sta bene starà meglio e gli altri si arrangino. Un ragionamento tipico della destra in Italia che mentre professa la triade cara ai fascisti Dio, Patria, Famiglia, attacca la CEI e smantella l’assegno unico e vorrebbe spaccare il paese. , secondo un mood che è caro alla destra.

Ora mentre comprendiamo le ragioni politiche della Lega, che cerca di recuperare un po’ di elettorato al Nord riesumando vecchie battaglie politiche, ci sembra strano che chi ha fatto dell’unità della Patria uno dei propri cavalli di battaglia politici oggi si presti a sostenere un provvedimento di questo tipo che rompe l’unità della nazione. Ma questo mi permette di introdurre la seconda ragione della nostra contrarietà.

Questa legge non nasce con il fine di migliorare le condizioni di vita dei cittadini italiani o di mettere le regioni nelle condizioni di lavorare meglio. Nasce come uno scambio tutto interno alla maggioranza di governo: l’autonomia alla Lega, il premierato a FDI e la riforma della giustizia a Forza Italia. Ciascuno parla al suo elettorato in assenza di un vero progetto comune sul paese. Non c’è volontà di riformare il paese cercando di renderlo più competitivo nell’attuale contesto socio-economico, ma solo di consolidare ciascuno i propri elettorati, di aumentare il proprio consenso in una costante campagna elettorale che nulla ha a che vedere con il buon Governo del Paese. Ma così si rischia di indebolire tutto il sistema. Non ci basta l’insegnamento che ci arriva dalla sanità pubblica? Davvero pensate che il sistema Italia, la Nazione!, diventerà più competitiva con 20 sistemi regionali sanitari, 15 sistemi di gestione dell’energia autonomi, 20 sistemi di previdenza complementare? Sarà solo un grande caos antistorico e a pagarne le conseguenze saranno i cittadini.

La terza ragione, Presidente, è legata alle modalità con cui è stata approvata la legge. Si è voluto fare in fretta, con forzature, e senza ascolto. Non solo delle forze politiche di opposizione, ma anche delle voci di dissenso in conferenza Stato-Regioni, incluse le richieste da parte di Presidenti di Regione di centro-destra che hanno più volte chiesto di migliorare il provvedimento in discussione in aula, nell’assoluta mancanza di ascolto da parte del centro-destra nazionale.

E’ una legge, Presidente, che sottrae sovranità al Parlamento e agli organi legislativi, conferendo ai soli esecutivi statale e regionali la definizione delle funzioni sottratte alla titolarità statale. Lo chiedo a voi colleghe e colleghi: a voi va bene essere esautorati da un compito tanto delicato e strategico per i piemontesi? Davvero ritenete che questo Consiglio non sia il luogo in cui discutere e assumere le decisioni fondamentali per il Piemonte? Dobbiamo, al contrario, ridare centralità al Parlamento e alle assemblee legislative.

Introduce una arbitraria e ingiustificata distinzione tra materie LEP e materie “non LEP” creando un coacervo giuridico impossibile da gestire. Da un lato materie su cui applicare la spesa storica e dall’altro materie a cui provvedere con le risorse disponibili nella legge di bilancio. Ma stiamo scherzando? Significa sancire l’impossibilità del finanziamento delle funzioni. Dal nostro punto di vista la definizione e il finanziamento dei LEP sono preliminari a qualsiasi devoluzione.

Anticipo un’obiezione che sono certo arriverà, perché il presidente Cirio, ma non solo, l’hanno già tirata fuori, non sempre in maniera elegante. Caro Presidente Cirio, mi spiace lei non sia presente, ma qui non si tratta di cambiare idea – cito –  “a seconda di dove si poggia il sedere”. Principio in realtà nemmeno deprecabile, anche se lei l’ha usato in tal senso, ma che sancisce una cosa ovvia: la realtà si interpreta e cambia a seconda del punto di vista dell’osservatore. Ma non è questo il caso. Tirare fuori l’obiezione secondo cui è stato il centro-sinistra a volere modificare la Costituzione è privo di significato per delle ragioni semplicissime. Le prime di natura storica. Quella riforma è figlia di un dibattito che si è sviluppato negli anni ’90, in risposta alle istanze di maggiore autonomia soprattutto delle Regioni del Nord, in un momento in cuini cui nasceva e cresceva la Lega Nord di Umberto Bossi e si parlava di federalismo, quando non si secessione. La rielaborazione in sede politica e istituzionale di quelle istanze portò a una modifica della Costituzione. All’epoca aveva un senso. All’epoca… Arrivare a una legge ordinaria 23 anni dopo, facendo finta che in mezzo non sia successo nulla è folle da un punto di vista politico.

Giusto per citare alcuni esempi: nel 2001 non esistevano facebook, IG, Twitter, Whatsapp, eravamo nel pieno della “fine della Storia” con un’unica grande superpotenza e l’esplosione della globalizzazione. In Russia da due anni c’era già Putin (è al potere solo da 25 anni).

Nell’anno in cui approviamo la riforma del titolo V comincia a cambiare il mondo: con l’attentato alle torri Gemelle. Poi arriverà la crisi del 2008, poi il covid, la rivoluzione digitale, l’intelligenza artificiale, le guerre. La crisi del capitalismo e delle democrazie liberali. Possiamo dire senza paura di essere smentiti che parliamo di una riforma di un’altra epoca storica e che ora viviamo in un mondo completamente trasformato, nel quale è cambiato il ruolo dell’Italia, dell’Europa e in cui anche i territori devono giocare un ruolo differente. Pensare di affrontare le sfide odierne con un impianto costituzionale partorito negli anni ’90 è antistorico e non serve all’Italia.

Ora al di là del fatto che questa legge della Lega snatura il regionalismo cooperativo e solidale che aveva in mente il centro-sinistra, la verità è che non solo non sarebbe un problema mettere in discussione la riforma del titolo V, ma forse oggi sarebbe doveroso farlo, perché per garantire il rispetto dei diritti civili e sociali dei nostri cittadini dobbiamo prima di tutto capire che lo schema di gioco è cambiato. Che la competizione non è tra regioni italiane, ma con regioni europee, ma soprattutto che se vogliamo dare un futuro alla democrazia liberale, per come l’abbiamo conosciuta, occorre non dividere, ma unirsi, costruire la Repubblica d’Europa e provare a essere competitivi nei confronti di altri sistemi economici e politici che mettono in crisi e in discussione i valori più profondi delle nostre democrazie. Il campo di gioco è cambiato, si è ampliato molto, e divisi non saremo nelle condizioni nemmeno di partecipare alla partita.

Concludo, presidente: siamo di fronte a una legge antistorica, che produce diseguaglianza e non aiuta l’Italia a essere competitiva nel nuovo assetto internazionale. Per questo chiediamo che venga abrogata: lo facciamo qui e lo faremo nel paese, insieme alle cittadine e ai cittadini che vogliono un’Italia unita, competitiva, capace di guardare avanti e non indietro.

Grazie.

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