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Perché io voto NO al referendum

Tra pochi giorni saremo chiamati a esprimerci, tramite referendum confermativo, sulla riduzione del numero dei parlamentari. Premetto che non sono schierato a prescindere per lo status quo e sostengo il superamento del bicameralismo perfetto, motivo per cui nel 2016 sono stato molto combattuto prima di votare NO. 

In questo caso, a differenza del 2016, siamo di fronte a un norma più semplice che non interviene sulle funzioni dei due rami del Parlamento, ma solo sulla loro consistenza numerica. Con la conferma della norma da parte dei cittadini si passerebbe da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. In apparenza si tratta, come sottolineato dai promotori (in maniera particolare dal M5S), di una semplificazione e di un risparmio.

Sappiamo, però, che le cose non sono mai solo come appaiono in superficie e, anche in questo caso, sono un po’ più complesse. Uno degli aspetti che rendono meno semplice la faccenda, ad esempio, è il rapporto (come nell’ultimo referendum del 2016) del nuovo assetto con la legge elettorale. In molti, anche tra i sostenitori del SI, ritengono che senza un’adeguata legge elettorale ci troveremmo di fronte a un vulnus dal punto di vista della rappresentatività per interi territori. Non a caso il PD ha cambiato la sua posizione sul referendum (aveva votato 3 volte NO in aula per poi votare alla quarta lettura SI) dopo un accordo che prevedeva l’adozione di un’adeguata legge elettorale prima dello svolgimento del referendum.  

Personalmente ritengo un errore collegare il voto referendario alla valutazione sull’azione di Governo così come non è mai utile né corretto subordinare questioni che riguardano la Costituzione ad accordi per la formazione di un esecutivo. Credo che il PD avrebbe dovuto chiedere l’esclusione di questo punto dall’accordo con il M5S e che, al contrario, avendo accettato, abbia compiuto un errore di natura culturale.

E’ proprio su questo aspetto che vorrei provare (brevemente) a concentrarmi, anche perché sulle questioni che afferiscono al dibattito dei costituzionalisti trovate già molto in rete. Molto chiaro, ad esempio è il documento in 5 punti firmato da più di 200 accademici di diritto pubblico, nel quale sono elencate le ragioni per il NO. Lo potete leggere qui: https://bit.ly/2YDgZNR

Io provo a stare in scia al loro punto 5, secondo cui “La riforma appare ispirata da una logica “punitiva” nei confronti dei parlamentari… visti come esponenti di una “casta” parassitaria da combattere con ogni mezzo…”. Ritengo sia questo il punto centrale, che svela quale sia la partita reale che stiamo giocando, al di là delle apparenze. 

Non dobbiamo guardare a questo referendum come ad un evento in sé, slegato da quanto accaduto negli ultimi decenni. Per essere compreso va inserito in una traiettoria ben precisa. Da anni, anche a causa di mancanze e inadeguatezze da parte del ceto politico, assistiamo a campagne politiche e di opinione pubblica che mettono in discussione e squalificano la cosiddetta “casta”, intesa come un gruppo di privilegiati, spesso furbetti, poco utili al paese. Casta che si identifica quasi totalmente con chi ha incarichi politici e quasi mai con altre categorie, nonostante redditi e privilegi in alcuni casi anche superiori. Al di là dei toni che usa in questa nuova fase (per me benvenuta) il M5S, basta guardare il video con cui annunciano in piazza la votazione positiva in aula sulla diminuzione dei parlamentari (https://youtu.be/8afWvXq0AtM) per capire il senso della proposta: si tagliano delle poltrone con delle grandi forbici. E se è vero che questa è una proposta che piace alla maggior parte degli italiani possiamo affermare che le campagne di questi anni hanno prodotto il risultato che si erano prefissate. Si è giunti alla costruzione di un sentire comune secondo cui in ambito politico-istituzionale più tagliamo meglio è, più risparmiamo meglio è per i cittadini. Su questa scia abbiamo: abolito il finanziamento pubblico ai partiti cancellato le elezioni dei Consigli Provinciali e ridotto drasticamente i trasferimenti alle Province, diminuito il numero dei consiglieri regionali (in Piemonte da 60 a 50) e ora si procede con il taglio dei parlamentari.

Nessuno si è preso la briga di andare a spiegare agli italiani quali benefici siano arrivati da tutti i tagli sopra elencati. Lo dico io: nessuno. Anzi in nel caso delle Province, ad esempio, i problemi sono cresciuti in maniera esponenziale.

Se si scava un po’ più a fondo e si va oltre la propaganda, utile certo ad aumentare il consenso, scopriamo che  camminiamo su un crinale pericoloso per la democrazia e che ci troviamo di fronte a una situazione che, dopo la lettura (illuminante) de Il Prezzo della democrazia di Julia Cagé, mi piace definire il grande inganno.
La democrazia ha un costo. Abbattere le forme di finanziamento pubblico significa aumentare il peso e l’influenza di chi si sostituisce ad esso: in particolare chi ha interessi da difendere e ha i mezzi per farlo. Per dirla con Cagé “oggi la democrazia è un gioco in cui vince chi paga di più”. E ovunque, in occidente, abbiamo sistemi che favoriscono la crescita del peso di chi è più ricco, sempre più capace di influenzare le scelte dei governi e dei partiti. Altro che lotta alla casta! Analogamente diminuire gli spazi di rappresentatività e di partecipazione allontana sempre di più i cittadini dalla politica perché diminuiscono le possibilità di incidere sia attraverso il voto sia attraverso l’impegno diretto. Così come descrivere per decenni l’impegno politico attivo e quello istituzionale come un luogo fatto perlopiù di furbetti, che sono lì solo per approfittare di indennità e privilegi produce un progressivo distacco dalla dimensione politica. Provate a informarvi su quanto sia faticoso trovare persone disponibili a candidarsi come sindaco o come consiglieri nelle città o nei paesi…

Non so se siamo di fronte all’eterogenesi dei fini o a un disegno ben realizzato. Sta di fatto che, dal mio punto di vista, è vitale invertire radicalmente la rotta se non vogliamo consegnare sì il futuro delle nostre democrazie alla “casta” (in questo caso sì) dei più ricchi nell’indifferenza delle classi popolariGuardate i costi delle campagne elettorali negli Stati Uniti, ad esempio, chi le finanzia e la percentuale di elettori, e poi ditemi se vi piacerebbe un sistema di quel tipo. Io lo dico con chiarezza: a me no. E l’Europa è instradata, purtroppo, in quella direzione. 

Voterò NO soprattutto per queste ragioni e invito a guardare con sospetto a ogni proposta sostenuta da ragioni o percorsi che nascondono la cultura a cui ho accennato in queste poche righe. Al contrario dobbiamo cominciare a ridiscutere e a fare proposte serie che vadano in direzione ostinata e contraria

• La democrazia ha un costo che deve essere sostenuto dal pubblico (con tutti i controlli necessari) per evitare lo strapotere di lobby e finanziatori privati.
• Occorre aumentare gli spazi e le possibilità di partecipazione avendo un’attenzione a riequilibrare non solo il genere, ma anche la rappresentatività sociale;
• Occorre recuperare risorse puntando a una vera progressività fiscale da costruire il più possibile in maniera transnazionale.

Per il Parlamento si lavori seriamente a una proposta che non abbia l’obiettivo di tagliare, ma di rivedere il ruolo e le funzioni del Senato. Si chieda non di tagliare la classe politica, ma che sia selezionata meglio.

Non quindi #rappresentatidimeno, ma #rappresentatimeglio.

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