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Sblocca Italia… le sentenze vanno lette e non solo citate

Una foto d’archivio di un pozzo petrolifero. ANSA

Una recente sentenza della Corte Costituzionale ha riaperto il dibattito sul decreto legislativo n. 133/2014 (così detto Sblocca Italia) e, nel nostro territorio, sul progetto di trivellazioni a Carpignano Sesia.

Come spesso accade le questioni particolari si intrecciano con quelle generali generando confusione comunicativa. Qualcuno, poi, approfitta di queste situazioni per cercare visibilità politica e strumentalizzare gli avvenimenti sperando di racimolare qualche voto.

Una cosa, però, è doverosa: le sentenze che si citano vanno lette. Purtroppo il M5Stelle, almeno in questo caso, pare non lo abbia fatto oppure lo ha fatto ma non ha compreso quanto la sentenza riporta. Escludo che i suoi esponenti si esprimano in malafede.

Il capo-gruppo del Movimento 5 Stelle in Regione Lombardia, il 17 luglio, commentò la sentenza con un post dal titolo “Avevamo ragione. La Corte Costituzionale ha fermato le trivelle di Renzi”. Il consigliere piemontese Andrissi, in una recente dichiarazione alla Stampa, ha ribadito che la Giunta Regionale aveva perso un’occasione rifiutandosi di presentare ricorso contro lo Sblocca Italia. Lo ricordo ancora quel dibattito in consiglio regionale. Da un lato c’era il Movimento 5 Stelle che chiedeva alla Giunta di impugnare il decreto perché lo riteneva incostituzionale. Dall’altro la maggioranza che diceva che il decreto non era incostituzionale e, in particolare, non lo era l’articolo 38 in quanto le autorizzazioni vengono concesse dal MISE “previa intesa” con la Regione interessata. Altre regioni decisero di ricorrere. Ora è arrivata la sentenza della Corte Costituzionale. Ma che cosa dice la sentenza che tutti citano e pochi leggono?

Respinge la maggior parte dei ricorsi e anche sull’articolo 38 si esprime in maniera chiara. Il decreto legge è costituzionale, così come anche l’articolo 38, ad eccezione dei commi 7 e 10. Ma andiamo per gradi. Perché la Corte respinge i ricorsi contro l’articolo 38 e in particolare contro il comma 6? Proviamo a leggere:

13.3.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, lettera b), del d.l. n.

133 del 2014, promosse dalle Regioni Abruzzo, Marche, Puglia e Veneto in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., non sono fondate.

Le censure muovono dal presupposto che la norma realizzi una fattispecie di attrazione in sussidiarietà, la quale, per essere legittima, imporrebbe il modulo collaborativo dell’intesa con la Regione. Tale assunto contrasta con quanto recentemente affermato da questa Corte, ossia che, «[s]ebbene la disposizione sia astrattamente riconducibile alla materia concorrente “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, occupandosi dei titoli che abilitano alle attività minerarie nel settore degli idrocarburi, non si ravvisano i presupposti per la chiamata in sussidiarietà, la quale implica, come detto, la sussistenza di una competenza regionale. Le regioni, infatti, non hanno alcuna competenza con riguardo alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi in mare (di recente, sentenza n. 39 del 2017). Ne consegue l’infondatezza della pretesa delle ricorrenti di coinvolgimento regionale, attraverso l’intesa, nel rilascio dei titoli abilitativi a dette attività che ivi dovrebbero svolgersi» (sentenza n. 114 del 2017).

13.4.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, lettera b), del d.l. n.133 del 2014, promosse dalle Regioni Marche e Puglia in riferimento all’art. 3 Cost., non sono fondate.

La discriminazione che la norma realizza tra attività minerarie sulla terraferma ed omologhe attività in mare – subordinando solo per le prime il rilascio del titolo concessorio unico all’intesa con la Regione – si giustifica in ragione del rilievo che nel secondo caso, diversamente dall’altro, non sussiste alcuna competenza regionale con riguardo alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, onde l’impossibilità di configurare una fattispecie di attrazione in sussidiarietà e la necessità dell’intesa che essa implica.

14.– La Regione Abruzzo impugna, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., i commi 6bis – secondo cui «I progetti di opere e di interventi relativi alle attività di ricerca e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi relativi a un titolo concessorio unico di cui al comma 5 sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale nel rispetto della normativa dell’Unione europea. La valutazione di impatto ambientale è effettuata secondo le modalità e le competenze previste dalla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni» – e 6ter – secondo cui «Il rilascio di nuove autorizzazioni per la ricerca e per la coltivazione di idrocarburi è vincolato a una verifica sull’esistenza di tutte le garanzie economiche da parte della società richiedente, per coprire i costi di un eventuale incidente durante le attività, commisurati a quelli derivanti dal più grave incidente nei diversi scenari ipotizzati in fase di studio ed analisi dei rischi» – dell’art. 38 del d.l. n. 133 del 2014.

Le norme estrometterebbero dal procedimento volto al rilascio del titolo concessorio unico relativamente alle attività minerarie in mare, oltre che gli enti locali, anche le Regioni, considerate alla stregua di tutte le altre amministrazioni che concorrono al processo decisionale.

La descritta questione di legittimità costituzionale è inammissibile.

Le censure sono rivolte cumulativamente ed indistintamente ai commi in questione, senza che emerga in maniera chiara in che modo si colleghino agli stessi, cosicché non risulta adeguatamente assolto l’onere motivazionale (sentenza n. 244 del 2016).

La Corte dice che esiste una differenza tra le attività di ricerca di idrocarburi che si effettuano sulla terraferma e quelle che si effettuano in mare. Il comma 6, lettera b è in linea con quanto prevede la costituzione perché subordina la concessione del titolo nel caso delle ricerche su terraferma (SUBORDINA) dove le regioni esercitano materia concorrente, mentre non lo fa per quelle in mare in quanto le stesse sono di competenza esclusiva dello Stato.

È evidente che nel caso di Carpignano Sesia, trattandosi di ricerca su terra ferma, la concessione del titolo non potrà essere data senza intesa con la Regione Piemonte. Intesa, che, come ricordato ancora ieri dall’assessore Valmaggia, non ci sarà.

Questa sentenza, contrariamente a quanto sbandierato dai grillini, conferma che sull’articolo 38 dello Sblocca Italia aveva ragione chi, come la Regione Piemonte, dichiarava che non c’erano elementi di incostituzionalità tali da giustificare un ricorso, proprio in base al “previa intesa” contenuto nella lettear b del comma 6 dello stesso articolo. Per gli appassionati invito ad andare a rileggere i verbali delle sedute del Consiglio Regionale durante le quali abbiamo affrontato il tema del ricorso.

Gli unici due commi dichiarati incostituzionali sono il 7 e il 10. Tralasciamo il comma 10 che riguarda le trivellazioni in mare e soffermiamoci sul comma 7. Esso recita:

  1. Con disciplinare tipo, adottato con decreto del Ministero dello sviluppo economico, sono stabilite, entro centoottanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, le modalità di conferimento del titolo concessorio unico di cui al comma 5, nonche’ le modalita’ di esercizio delle relative attività ai sensi del presente articolo.

Secondo la Corte tale comma risulta incostituzionale in quanto non coinvolge le Regioni su un tema di legislazione concorrente. In particolare la Corte si esprime nei seguenti termini:

Il censurato comma incide dunque sulla materia di competenza concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», cui ricondurre le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi sulla terraferma. Rimettendo esclusivamente al Ministro dello sviluppo economico l’adozione del disciplinare tipo, realizza una chiamata in sussidiarietà senza alcun coinvolgimento delle Regioni, sebbene questa Corte abbia reiteratamente affermato l’esigenza della previsione «di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, [… di] adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali» (sentenza n. 7 del 2016).

D’altra parte, scrutinando una fattispecie normativa analoga a quella in considerazione, sempre afferente al settore energetico degli idrocarburi, questa Corte ha ravvisato «la parziale illegittimità costituzionale della disposizione censurata, per la mancata previsione di strumenti di leale collaborazione per la parte che si riferisce a materie di competenza legislativa ed amministrativa delle Regioni interessate» (sentenza n. 339 del 2009).

Si deve pertanto concludere che l’art. 38, comma 7, del d.l. n. 133 del 2014 è costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non prevede un adeguato coinvolgimento delle Regioni nel procedimento finalizzato all’adozione del decreto del Ministro dello sviluppo economico con cui sono stabilite le modalità di conferimento del titolo concessorio unico, nonché le modalità di esercizio delle relative attività.

Secondo quanto deciso dalla sentenza non sarebbe pertanto competenza esclusiva dello stato emanare il “Disciplinare tipo per il rilascio e l’esercizio dei titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale” contenuto nel decreto del ministero dello sviluppo economico del 7 dicembre 2016”, pubblicato in G.U. Il 03/04/2017.

Le regioni Abruzzo e Veneto hanno già ricorso contro il Disciplinare e, al di là della scelta fatta dalla Giunta di non intervenire nel ricorso, l’esito è già scontato, vista la sentenza della Corte.

In sintesi, possiamo provare a concludere così:

  1. la sentenza della Corte Costituzionale 170/2017 respinge la quasi totalità dei ricorsi presentati sul decreto legislativo 134/2014, ad eccezione dei commi 7 e 10. Il comma 10 riguarda le trivellazioni in mare e il comma 7 l’adozione del “Disciplinare tipo per il rilascio e l’esercizio dei titoli minerari”.
  2. Per quanto riguarda il comma 6 (e in particolare la lettera b) emerge con chiarezza che per quanto riguarda le trivellazioni su terra ferma la concessione del titolo è subordinata all’intesa con la regione interessata. Questo conferma la linea da sempre tenuta dalla Regione Piemonte e conferma che senza l’intesa non può essere rilasciato alcun titolo. La conferma arrivata ieri dall’assessore Valmaggia sul fatto che la Regione Piemonte non concederà l’intesa al MISE sul progetto di Carpignano Sesia è l’unica rilevante (e positiva) per il nostro territorio, perché, sentenza alla mano, blocca di fatto l’autorizzazione.
  3. Il mancato inserimento della Regione Piemonte nel ricorso contro il “Disciplinare tipo” è ininfluente in quanto Veneto e Abruzzo hanno già ricorso e l’esito, vista la sentenza della Corte Costituzionale, è scontato: andrà riscritto in accordo con le regioni.
  4. Ben venga il ricorso dei Comuni contro il decreto di VIA del Ministero dell’Ambiente, perché ogni ente dovrà usare tutti gli strumenti a sua disposizione.

Tutti i pezzi, insieme, costituiscono un puzzle che si erigerà a barriera nei confronti del progetto di ENI. Il resto è il tentativo, di natura elettorale, di guadagnare qualche voto, creando divisione dove invece tutti stanno cercando di raggiungere lo stesso obiettivo.

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