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La scelta di allacciarsi le scarpe…

Molti di noi hanno ascoltato o letto l’ultimo discorso del presidente Obama, tenuto a Chicago qualche giorno fa. L’ho apprezzato molto nel suo insieme e ho condiviso molti passaggi, uno in particolare vorrei riprenderlo con voi:

«L’America non è fragile. Ma i grandi progressi che abbiamo fatto nel nostro viaggio verso la libertà non sono scontati. Li indeboliamo tutte le volte che permettiamo al dibattito politico di diventare così velenoso che le brave persone decidono di non impegnarsi in politica; così pervaso dal rancore che giudichiamo malevoli gli americani con cui non siamo d’accordo. Li indeboliamo tutte le volte che ci definiamo più americani di altri nostri concittadini; tutte le volte che pensiamo che tutto sia corrotto intorno a noi, e ne incolpiamo i leader politici senza prendere in considerazione il nostro ruolo nell’eleggerli. Sta a tutti noi essere guardiani preoccupati e gelosi della democrazia; abbracciare con gioia questo compito per continuare a migliorare la nostra grande nazione. Perché per tutte le nostre differenze, condividiamo tutti lo stesso titolo: cittadini. In fin dei conti, ce lo chiede la nostra democrazia. Non solo quando c’è un’elezione, ma nell’arco di tutta una vita. Se siete stanchi di discutere con degli sconosciuti su internet, cercate di parlare con qualcuno di persona. Se qualcosa dovrebbe funzionare meglio, allacciatevi le scarpe e datevi da fare. Se siete delusi dai vostri rappresentanti, raccogliete le firme e candidatevi voi stessi. Fatevi avanti, fatevi sotto. Perseverate. Qualche volta vincerete. Altre volte perderete. Presumere che ci sia del buono nel prossimo può essere un rischio, e ci saranno momenti in cui sarete molto delusi. Ma per chi di voi sarà fortunato abbastanza da riuscire a fare qualcosa, da vedere da vicino questo lavoro, lasciate che ve lo dica: può ispirarvi e darvi energia».

Proviamo a sostituire la parola America con Italia o con Europa. Possiamo prendere questa sua esortazione e farla nostra. Potremmo provare a lasciarci investire da questa chiamata alla responsabilità, all’impegno diretto in politica. Tanto più non ci piace ciò che vediamo e ciò che ascoltiamo tanto più forte deve essere il nostro impegno per trasformarlo. Dobbiamo farlo a partire da casa nostra, dalla nostra quotidianità. Lo dico ai tanti ragazzi che incontro: mettetevi in gioco direttamente, con il volontariato certamente, ma anche con la politica che, innegabilmente, sta attraversando un momento di crisi profonda. Nelle parole di Obama, però, ritrovo l’invito, che condivido, a non indietreggiare di fronte alla delusione, ma a impegnarsi in prima persona insieme alle tante persone che condividono con noi la voglia di cambiamento. Non possiamo lasciare la gestione della democrazia a chi la deturpa.

Un modo, qui da noi, è quello di tornare a popolare i partiti. Fare sì che tornino a essere partecipati, a essere luogo di confronto e di un conflitto legato alle idee e non ai posti da occupare. Per fare questo serve esserci, serve che questa idea di partiti e di democrazia siano maggiormente rappresentati nei luoghi dove si prendono decisioni importanti per le nostre vite. Dico partiti, tutti, perché oggi il problema più grande è la mancanza di partecipazione causata dalla convinzione che sia inutile.

Non è casuale il passaggio che Obama fa sugli “sconosciuti su internet”. Sempre di più l’impegno per il cambiamento rischia di essere delegato ai commenti o ai like sui social. Non è così. Serve allacciarsi le scarpe e incontrare le persone reali, guardarle in faccia, bussare alle porte, confrontarsi di persona, occuparsi le sere della settimana, i week end… “a che serve avere le mani pulite se le teniamo in tasca”. Sarebbe bello che invertissimo la rotta: che dal lamento passassimo alla proposta, che dal ritiro nella vita individuale tornassimo a credere nel cambiamento reso possibile dall’impegno collettivo. Credo dobbiamo tornare ad abitare i partiti, anche per cambiarli. Da parte mia lo sto facendo nel Partito Democratico. Un impegno che affianco a quello storico nella società civile e nell’associazionismo. Non è un partito perfetto, come non lo è nessun luogo fatto da persone in carne ed ossa, ma credo sia uno dei luoghi dai quali ripartire per migliorare l’Italia e provare a costruire l’Europa.

Voglio chiudere questa riflessione con un invito che oggi suona impopolare: la faresti la tessera del Partito Democratico? Proveresti a cambiare in prima persona quella politica che non ti piace? Se si, per il 2016, il tesseramento chiude il 28 febbraio… Il tuo contributo sarà prezioso.

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