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Rapporto povertà Istat: occorre superare le disuguaglianze

poveri2È come un pugno in pieno volto il rapporto che l’ISTAT ha pubblicato questa mattina. Una fotografia impietosa di un paese sempre più povero, dove i milioni – sì, i milioni – di cittadini in povertà assoluta sono in aumento. Il dato peggiore dal 2005. Se ne discuterà molto nei prossimi giorni e anche io tornerò sul tema che ritengo in assoluto il più importante. Alcune cose, però, vanno dette subito.

Primo. Il dato sulle povertà (assoluta e relativa) non va letto da solo. Esso va accompagnato con la lettura dei dati sulla sperequazione, anch’essa in aumento. Quello che voglio dire è che la fotografia dell’ISTAT non ci restituisce l’immagine di un paese povero, ma diseguale. Anzi sempre più diseguale, dove aumenta il divario tra chi sta meglio e chi sta peggio. Anche le risposte, quindi, dal mio punto di vista, non possono essere solo di contrasto alla povertà, ma di contrasto alla diseguaglianza. Chiunque ha a cuore le sorti dei più deboli e dei più fragili non può non partire da qui. Per me si tratta della sfida più importante che abbiamo di fronte. Per una forza politica che usa la parola “sinistra” per definirsi deve diventare la cifra dell’impegno politico a tutti i livelli.

Secondo. Molti ci diranno che si tratta degli anni e dei risultati della più grande crisi degli ultimi 80 anni. È vero. È vero anche, però, che siamo di fronte a un modello di sviluppo che nei momenti di crescita distribuisce le ricchezze verso l’alto e le briciole sulla classe media e sui poveri, mentre nei momenti di stasi o di crisi il prezzo lo pagano solo classe media e ceti popolari in termini di situazione reddituale e di taglio di servizi. Urge un cambio di paradigma. Questo, semplicemente, non funziona per i molti, ma solo per pochi.

Terzo. La sfida non è più locale o nazionale. Gli effetti a cui assistiamo vedono la loro genealogia in processi planetari, come oramai sappiamo da decenni. Credo sia arrivato il momento per tutte le organizzazioni che si battono per il miglioramento delle condizioni di vita degli esseri umani di cominciare a lavorare seriamente globalizzando le proprie organizzazioni e le proprie azioni. Penso in prima battuta a partiti e sindacati. Dal punto di vista istituzionale una nuova concezione e una nuova fase degli “Stati Uniti d’Europa” (con più politica e meno vincoli finanziari) sono il minimo sindacale per fronteggiare le sfide che ci attendono.

Quarto. Nella revisione del nostro modello di welfare credo sia ineludibile farsi carico di temi che per troppo tempo abbiamo rinviato. Non possiamo pensare che il tema della povertà e della disoccupazione giovanile (così come quello dell’insostenibilità del sistema pensionistico) sia risolvibile solo con l’aumento di lavoro precario (quando c’è). Non sono più rinviabili ragionamenti e azioni strutturali su misure quali sostegno all’inclusione sociale o reddito di autonomia.

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