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Domenica voto SI

si 17 aprileIl quesito referendario che ci verrà sottoposto il prossimo 17 aprile è molto tecnico: riguarda la possibilità di prorogare la concessione di sfruttamento del giacimento per le piattaforme già attive in mare entro le 12 miglia dalla costa. Quelle nuove entro le 12 miglia sono già vietate. Si tratta di un quesito molto tecnico, al punto da non permettere un giudizio immediato alla maggior parte dei cittadini.

Arrivare a proporre un referendum su un tema come questo ci mette di fronte alla debolezza della politica. Le istituzioni preposte a risolvere il conflitto in merito a questa situazione non hanno trovato una soluzione condivisa e quindi la parola passa ai cittadini. Lo ritengo un fallimento e sono d’accordo con Michele Serra, che su Repubblica il 31 marzo scriveva: «la faccenda delle trivelle di mare poteva e doveva essere risolta per competenze tecniche e per mediazione politica».

Anche perché il primo rischio che corriamo è quello di squalificare l’istituto referendario stesso. Sono convinto che dovrebbe essere usato con parsimonia, su temi più generali, e comunque accompagnato sempre da una seria azione di approfondimento. In una democrazia rappresentativa non è un atto ordinario. Nell’ordinarietà sono i rappresentanti eletti dai cittadini che decidono. Solo in casi di conflitti non sanati o di questioni che interessano cambiamenti significativi della vita collettiva, si ricorre al referendum. È’ quindi uno strumento delicato e come tale va trattato. Squalificarlo significa ipotecare anche le future “chiamate”.

 

Oltre alla dignità dell’istituto referendario credo che l’appuntamento di domenica metta in campo due questioni di fondamentali: il dibattito su quale futuro vediamo per il nostro paese (e per il pianeta) dal punto di vista energetico e l’indipendenza delle istituzioni nel perseguire l’interesse generale di fronte alle pressioni che arrivano da chi, invece, persegue interessi particolari.

Sulla prima questione credo siamo molto indietro in Italia e che troppi sono i segnali che ci dicono che stiamo andando verso una direzione che ci porta indietro nel tempo, ancorati alle energie fossili con pochi investimenti sullo sviluppo di energie alternative. Penso ad alcuni provvedimenti contenuti nello Sblocca-Italia, penso alle politiche di ENI nei confronti della chimica verde (e della chimica in generale), alle richieste di perforazioni che riguardano tutto il territorio nazionale e non solo le piattaforme in mare. Credo fortemente che non possiamo lasciare la responsabilità di affrontare la crisi ecologica solamente al papa o pensare di relegarla agli appuntamenti internazionali senza che ad essi seguano politiche reali che permettano di invertire la rotta.

La seconda questione riguarda uno dei dilemmi più profondi delle democrazie occidentali: l’autonomia dei governi e dei parlamenti dalle pressioni di forti lobby economiche. Non possiamo permetterci di relegare a secondario questo elemento e vigilare perché le decisioni vadano sempre nella direzione dell’interesse collettivo.

 

Domenica andrò a votare. Da troppo poco tempo è un diritto per permettersi di darlo per scontato. E voterò “si” perché vorrei un paese libero dalla dipendenza energetica da idrocarburi, capace di investire di più in economia circolare, e di promuovere maggiormente un’economia legata alla bellezza.

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